Da queste considerazioni possiamo capire che tutto il processo evolutivo e/o adattivo si è concentrato sulle imprese che hanno generato la grande sfida umana ricca di successi, insuccessi, frustrazioni ed emozioni che ci permettono ancora oggi di celebrare questa competizione tra noi e la Natura: l’ambiente è il principale protagonista dei nostri sforzi per apprendere come si sopravvive, banco di prova per molte specie, fattore principale per la nostra esistenza a tutte le latitudini e longitudini, habitat perfetto per metterci alla prova, differenza tra la vita e la morte.
Se da un lato la sopravvivenza primitiva ha selezionato i più adatti, quella moderna ha sentenziato la corsa all’estremo, distorcendo la visione antropologica in mera competizione. Scalare una montagna o solcare il mare alla scoperta di nuovi orizzonti è stata di per sé una conquista a lungo, ma con lo sviluppo delle nuove tecnologie il survival diventa un banco di prova per uomini e mezzi ai confini dell’esasperazione, una formula all-inclusive del deus ex machina che incarna un neo-futurismo sponsorizzato dai media come nuovo traguardo da raggiungere, illudendo il pubblico che quelle pratiche fossero l’aspirazione primaria della civiltà moderna.
La parola “survival” ha ingannato per anni il pubblico mondiale mettendola spesso a servizio dell’esperienza militare e oscurando quella civile che ha creato, invece, lo sviluppo di una coscienza efficace e progressista del concetto di “sopravvivenza”, adoperandosi in maniera eco-positiva, stimolando la ricerca e influenzando interazioni tra le varie discipline scientifiche, facendo, così la differenza, in termini di qualità, nella vita di tutti i giorni.
Per quanto riguarda la storia attuale, molti studi e ricerche condividono numerosi principi che la Scienza della sopravvivenza continua a evidenziare, tante combinazioni e soluzioni che danno ragione al concetto fondamentale di “pensare per agire”, consapevolezza e necessità o semplicemente una nuova psicologia per l’adattamento che sia formalmente utile e non effimera come testimoniano le nuove tecnologie.
Abbiamo viaggiato per millenni senza bussola, comunicato in modo semplice in tutto il mondo senza internet, siamo riusciti a risolvere problemi pratici ed esistenziali senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ci siamo mescolati geneticamente senza saperlo forse senza comprendere che lo stavamo facendo per la mera voglia di sopravvivenza.
A partire dagli anni ‘80 del Novecento, anche lo sport ha coinvolto migliaia di persone a partecipare a contest o gare a impegno combinato o, come si soleva dire, a “guai organizzati”, facendo sopravvivere le abilità e le attitudini delle nostre origini, mettendo in risalto il piacere di mettere in atto le tecniche più utili e “vitali” in ogni contesto ambientale, affrontando emergenze reali o simulate. Le manifestazioni avevano lo scopo di mettere alla prova i partecipanti riproducendo (in sicurezza) le circostanze di un naufragio, una scalata in montagna, un’escursione in jungla o in un deserto, esperienze nelle quali si esaltava la soluzione dei bisogni primari quali acqua, fuoco, un ricovero, il tutto mantenendo la calma e la capacità di ragionare in modo lucido; venivano valutate anche le tattiche e le strategie comportamentali dei partecipanti al fine di comprendere al meglio le dinamiche psicologiche che venivano messe in atto per superare gli insuccessi, le frustrazioni, la resilienza.
L’apogeo di questi meeting di sopravvivenza fu la realizzazione di un circuito internazionale di atleti estremi mondiale, battezzata “No Limits”, che esaltò il mito del super-uomo in un contesto di esasperazione della tecnologia, oscurando la parte romantica e primordiale dalla quale il mondo survival era nato.
Dopo anni di analisi e sperimentazione siamo arrivati alla conclusione che la specializzazione è sintomo di estinzione, rafforzando la tesi che la Scienza della sopravvivenza, in simbiosi con altre discipline scientifiche, ha decretato il regresso del genere umano, causato dall’uso massivo della tecnologia, di un regresso nelle abilità motorie, nelle componenti creative e nell’adattabilità alle mutevoli condizioni ambientali. A detta di psicologi comportamentali e antropologi culturali, che evidenziano questa situazione come “decadenza mentale”, le principali capacità umane di sopravvivenza in qualsiasi ambiente, quali l’improvvisazione e l’adattamento, hanno subito un regresso allarmante.
In conclusione, a fronte di tanti indizi negativi, il pensiero degli addetti alla Scienza della sopravvivenza è un pensiero eco-positivo, dove le tante componenti che influenzano il nostro “vivere sopra” ci permetterà di sopravvivere a noi stessi, agli altri e al mondo.